Come l’islam ha guarito la mia dipendenza dall’alcol

1. Sull’orlo dell’alcolismo già da adolescente
2. Una vita di insoddisfazioni colmate con l’alcol
3. Un intollerabile assenza: Dio
4. Dio è la nostra guida: cosa gli chiederai, lui ti darà
5. Ascolta i precetti del Corano: avrai più fiducia e controllo su te stesso

Roma – Sono cresciuta in una cultura ( e in una famiglia) in cui bere alcol è normale e all’ordine del giorno. Tutti lo fanno e nessuno si è mai chiesto il perché.

birra in bicchieri di plastica

Bere è visto come il metro di giudizio della forza e del coraggio di una persona, una sorta di mascolinità del bere. Più alcol ingerisci e meglio lo reggi, più sei coraggioso. Io ho velocemente interiorizzato questo messaggio e mi sono sentita orgogliosa quando, a 19 anni, potevo bere più di mio padre senza sentirmi male o collassare.

Ho prestato attenzione a quanto mio padre bevesse, ne ho preso nota, e tentato di bere sempre un bicchiere in più di lui, sempre per comportami come era “normale”.

Sull’orlo dell’alcolismo già da adolescente

Ho iniziato a bere a 16 anni. Bevevo con la mia famiglia in occasioni mondane e con i miei amici quando uscivo. Tutto ciò era normale in Messico, dove sono cresciuta. I sedicenni escono e vanno nei bar a bere, ballare e parlare con gli amici.

gruppo di amici che stanno bevendo birra

Poi tornano a casa guidando, poiché a quell’età molti hanno già la macchina. Io non l’avevo ma molti dei miei amici sì. Non c’era nulla di strano nel fare tutto ciò; era assolutamente accettato dalla società. Mi sono diplomata col massimo dei voti e non ho mai bevuto molto, fino a poco tempo dopo.

Con il passare del tempo ho lasciato casa, a 18 anni sono andata al college e ho iniziato a bere molto di più. Era normale per la maggior parte degli studenti del college bere molto e non l’ho mai visto come un problema.

Andavo a trovare i miei a Juarez ogni domenica e bevevo insieme a loro, poi tornavo a casa guidando oltre il confine fino al mio appartamento a El Paso, in Texas. Sono due città attaccate che formano praticamente un’unica grande città, divisa da un ponte internazionale che fa da confine, per cui guidare avanti e indietro tra i due paesi è semplice, come andare dal Queens a Manhattan, per esempio.

Mi ricordo che, all’età di 19 anni, mi sono presentata a casa per il quindicesimo compleanno di mia sorella, una ragazza abbastanza alticcia. Abbiamo continuato a bere vino con i miei.

Quando mio padre si rese conto che avevamo già fatto fuori una bottiglia intera, si arrabbiò e mi disse che non avrei potuto continuare a bere al ristorante ma, una volta lì, però, lui era molto amorevole e si sentiva felice, mi abbracciò, mi diede un bacio e mi ordinò un Campari.

Al college bevevo di frequente e mi piaceva anche molto. Mi sentivo grande, sofisticata e intellettuale, soprattutto quando mi trovano nei bar con i miei professori e gli amici degli studenti laureati, che inevitabilmente bevevano meno di me. Bevevo tequila come se fosse acqua e mi sentivo orgogliosa di ciò, attribuendo questa abilità al mio essere messicana.

Mi ricordo il giorno della laurea in questo modo: centinaia di studenti con cappello e divise nere, sorridendo, gridando e esprimendo grande euforia per essersi finalmente liberati della scuola. Ma io ero triste di lasciare l’università perché mi sentivo felice li, piena di possibilità, di libertà e conoscenze, circondata da professori, amici e mentori incredibili. Ma ho trattenuto con forza le lacrime e mi sono comportata come tutti gli altri.


studenti laureati che lanciano il cappello

Alla cena della mia laurea, l’invitato più importante per me era il mio professore e la mia guida di psicologia, con il quale avevo lavorato a stretto contatto e avevo iniziato a conoscere bene fin dal mio secondo giorno al college. Mi sentivo onorata che avesse scelto di prendere parte ai festeggiamenti per la mia laurea rispetto alle feste di tutti gli altri studenti.

Sua moglie era lì con lui come anche un altro professore che stimavo moltissimo e un giudice col quale avevo fatto un tirocinio nel corso del mio ultimo anno. Ovviamente anche i miei amici e la mia famiglia erano lì.

Eravamo in un bellissimo bistrot italiano e, Zayra, una delle mie migliori amiche, si sedette accanto a me. Lei non beveva alcol. Pensai che fosse una fortuna per me, perché così nessuno avrebbe notato che avrei bevuto per due. La cameriera continuava a riempire i nostri bicchieri e a portare sempre più bottiglie di vino al tavolo. Bevvi il mio bicchiere e quello della mia amica Zayra ogni volta che furono riempiti.

Mi sono bevuta non so quante bottiglie di vino quella sera e non avevo toccato cibo. Ero così giovane all’epoca e piena di vita ed era risaputo che avevo un carattere stravagante, per cui nessuno prestò attenzione a quanto effettivamente avevo bevuto o comunque non lo aveva trovato strano. Ero troppo ubriaca per guidare e Zayra guidò la mia macchia fino al mio appartamento, dove anche i miei parenti erano venuti con la loro macchina per continuare con un “after party”. Bevemmo ancora. Ero cosciente e mi ricordo di quella notte relativamente bene, me lo ricordo come un’occasione felice.

Parlo di questi eventi per fornire uno sguardo ravvicinato su cosa volesse dire per me bere nel corso della mia crescita. Non era un’attività proibita che facevo per essere ribelle o qualcosa che miei genitori non approvavano, anzi, il contrario. La trovavano un’attività sociale piacevole.

Gli anni passarono e andai a vivere a New York come studentessa di legge della Columbia. Ogni settimana c’erano parecchi eventi a base alcolica. Alcuni di questi iniziavano dal pomeriggio.

Se erano di pomeriggio, c’era birra. Se erano di sera, c’era vino. Se erano di un certo livello, cosa che voleva dire che non c’era una piccola fornitura di alcol, ma che erano organizzati dalla Ivy League – uno degli istituti più prestigiosi del paese – allora c’erano liquori e vini molto costosi.

bottiglie di whisky costosi e bicchieri

All’epoca avevo 20 anni ed ero molto dipendente dall’alcol e dalla vita che si faceva.

Una vita di insoddisfazioni colmate con l’alcol

Ho bevuto veramente tanto durante il mio corso di legge. È davvero un miracolo che mi sia laureata con voti alti, che abbia passato l’esame di avvocatura al primo colpo e che sia stata assunta da una società di alto livello a Wall Street, tutto mentre il mio cervello era intriso di alcol.

Ho passato molti dei giorni del corso di giurisprudenza malata a letto a causa del troppo alcol. Ero depressa. Mi aspettavo di amare l’università così come avevo amato il liceo ma non mi piaceva affatto.

Trovavo le persone vuote e materialiste. Passavo la maggior parte del tempo lontano da lì, leggendo libri di letteratura ed esplorando New York, i musei, l’opera, e ovviamente anche i bar e i ristoranti.

Non pensavo molto a quanto bevessi perché, come ho detto, ogni persona che faceva parte della mia vita beveva e mi aveva sempre spinto a farlo.

Gli avvocati hanno il più alto tasso di alcolismo di qualsiasi altra professione e quando un nuovo avvocato è ammesso all’albo dello stato di New York, siamo costretti a stare 3 ore seduti in tribunale  per essere avvertiti riguardo i pericoli dell’alcolismo, la dipendenza dalle droghe e il suicidio.

uomo in giacca e cravatta

Apparentemente siamo anche in cima alla lista dei suicidi negli Stati Uniti. In questa sessione ci dissero che esiste una linea telefonica attiva ventiquattr’ore per gli avvocati che vogliono mettere fine alla loro vita o hanno perso il controllo nell’uso di droghe e alcol.

Le grandi aziende giuridiche di New York, che fanno spesso degli eventi di reclutamento nelle migliori università, forniscono alcol illimitato agli studenti e poi, più avanti, ai giovani associati.

Sono stata a così tante feste nei migliori bar e ristoranti di Manhattan organizzate da queste aziende che ho perso il conto, e queste erano occasioni per farci conoscere  e per conoscere gli associati e i partner e considerare di andare a lavorare per loro.

Ricordo lunghe serate al Flute, bevendo champagne con questi avvocati, feste di vino tenute negli uffici delle stesse aziende e degustazioni di tequila al Centrico, un raffinato ristorante messicano a Tribeca che forniva delle bottiglie di tequila da 500 dollari.

Odiavo tutto questo: la presunzione, l’ambiente e la legge, ma amavo l’alcol. Ricordo me e i miei due migliori amici, con i quali ero stata anche al college in Texas, andare direttamente al bar, durante questi eventi, e sgattaiolare via per la sala evitando le conversazioni con gli avvocati, i quali ci sembravano tutti miserabili.

Se venivano verso di noi cambiavano direzione. Bevevamo e urlavamo e raramente parlavamo con loro.

Sembrava che fosse questa la vita a cui aspiravamo. Una volta diventati associati, degli assurdi e costosissimi pranzi e cene al Chanterelle o Nobu erano la normalità ed eravamo pagati molto bene.

A 26 anni, avevo due segretarie, guadagnavo 165.000 dollari più i bonus e avevo un ufficio che affacciava sul ponte di Brooklyn. Era così. Dopo tutti i lavori da commessa, centralinista, tutor, impiegata in hotel e cameriera che avevo fatto al college, finalmente ero “all’ultimo” lavoro.

ponte di brooklyn

Lavoravo bene nella società in cui ero assunta ed ero rispettata e ben voluta. Ma mi sentivo completamente infelice. Cominciai ad ossessionarmi con l’idea che stavo vendendo il mio tempo e il mio intelletto e, in generale, la mia vita, in cambio di un sacco di soldi guadagnati facendo una cosa che ritenevo sbagliata.

Così, un anno e mezzo dopo aver ottenuto questo strabiliante lavoro, me ne andai. Il collega che informai della mia decisione era scioccato. Nessuno lo aveva mai fatto. Lui mi disse di prendermi 3 mesi di stacco , pagati, e di pensarci bene. Tutto quello che volevo era libertà.

Tre mesi volevano dire più di 36.000 dollari. Ma ancora una volta, dissi no. Ero certa della mia decisione.

Mi sentivo felice e libera ed era come se la mia forza vitale fosse tornata una volta aver lasciato quel lavoro. Ma l’abitudine di bere restò e divenne ancora più distruttiva. Avevo fatto molti lavori fino a quel momento, avevo viaggiato per il mondo, avevo avuto belle e brutte relazioni, ma non ero mai riuscita a controllare il mio bere, non importa quanto duramente ci avessi provato.

Potevo bere tantissimo. La mia tolleranza era alta e molte delle mie serate le ho passate a bere. E molti dei miei giorni li ho passati stando male e sentendomi esausta.

Un’intollerabile assenza: Dio

Credo che bevessi perché non avevo nessun obiettivo e non credevo veramente in Dio. Sentivo un’enorme vuoto che non sapevo come riempire. Le aspirazioni materialiste degli altri non mi hanno mai interessato molto.

crocifisso

Non volevo relazionarmi con loro e raggiungere obiettivi lavorativi e finanziari e non mi sembravano meritevoli abbastanza da vendere il mio tempo in cambio. Ho avuto delle relazioni che sono fallite anche per colpa di questo vuoto. Non ero per niente spirituale all’epoca. Credevo nell’essere una brava persona e in generale nell’esistenza di un Creatore, ma non molto altro.

La mia prospettiva di vita era piccola e abbastanza incentrata su me stessa. Mi piaceva scrivere e mi piaceva la letteratura ma non potevo scrivere; la mia mente e le mie energie erano disperse e non trovavo senso nelle cose. Se l’obiettivo massimo della vita è avere un buon lavoro, come quello che avevo io e che poi ho lasciato, perché non mi interessava, che ne sarà di me? Pensavo.

Avevo molta energia e non sapevo che farne. In tutta la vita sono stata inondata di un grande carico di energia emotiva e fisica, la quale, se non ben indirizzata ad attività creative o artistiche poteva portarmi ad avere enormi problemi.

Il mio bere era fuori controllo e mi sentivo in agitazione quando non bevevo. Decisi di smettere. Ho fatto terapia, gruppi di recupero, ho letto libri di supporto spirituale e auto-sostegno, ma rimanevano tutti  lontani da me, belle parole che mi facevano stare bene per qualche momento ma che non producevano nessun cambiamento interno.

Non importava quanto leggessi, ho sempre pensato che il libro seguente sarebbe stato il libro, quello che mi avrebbe curato dal mio disturbo.

Passarono anni così. Cercando di smettere senza riuscirci.

Ho tentato di smettere così tante volte che ne avevo ormai perso il conto.

Mia madre, all’epoca preoccupata per la mia situazione, mi disse che se avessi continuato a bere, avrei rovinato il mio fegato. Mi ricordò poi di come avevo perso uno zio per cirrosi epatica – un uomo brillante e una persona incredibile – e mio nonno, un’altra persona estremamente intelligente, che era morto a causa della sua dipendenza dall’alcol. Mi disse però che io ero ancora in tempo per salvarmi, perché ero ancora giovane e in salute.

E io lo volevo veramente e ci provai con tutte le mie forze.

Ma non riuscivo a fermarmi.

Dio è la nostra guida: cosa gli chiederai, lui ti darà

Non sono riuscita a capire il motivo di questi miei fallimento solo fino a poco tempo fa. Non ero in grado di smettere, non importava quanto ci provassi… e sai perché? Perché ben poche cose riusciamo a fare con la sola forza di volontà.

Mi ricordo molto bene le parole del Dr Sultan, mi ricordo il bar e il tavolo al quale ero seduta mentre gli parlavo al telefono. Stavamo parlando di altro. In quel momento il demone dell’alcol mi aveva già lasciato ma capii il perché solo in seguito.

Cosa esattamente il Dr. Sultan mi disse ( l’ho scritto su un foglio) fu:

“La preghiera è la nostra personale conversazione con Dio. Cosa chiedi, lui ti darà. Se vuoi crescita o un motivo di vita, dovresti chiederlo a Dio. Molto poco otterrai con la sola forza di volontà. Il Profeta Muhammad ha raggiunto così alti livelli nella vita grazie alla preghiera”

Questa fu una rivelazione per me. Era dunque per questo che combattere contro me stessa e tentare di controllare i miei comportamenti da sola non aveva funzionato.

L’idea di pregare, l’esistenza di Dio, o qualunque altra cosa connessa con la religione, era qualcosa che avevo rifiutato a priori perché l’avevo vista come un dogma e come una serie di regole  e restrizioni fatte a misura d’uomo, che avevano come unico obiettivo quello di opprimere e controllare le persone.

Ancora adesso considero alcuni approcci religiosi in questo modo. Ma, in ogni caso, il potere della vera spiritualità è così grande che non c’è alcuna forza come questa sul pianeta. La forza divina che crea la vita, che noi chiamiamo Dio, è l’unica cosa che ci può aiutare veramente. E’ l’unico rimedio in grado di guarirci da ogni malattia.

Tutto quello che sto raccontando e che sto scrivendo è incredibile perfino per me.

Ma tornando a come la mia dipendenza dall’alcol venne curata: avvenne in una maniera miracolosa. Quando divenni musulmana, iniziai a pregare, digiunavo durante il Ramadan, e facevo tutto ciò che era chiesto dai precetti religiosi.

Mi sentii bene quando iniziai a smettere di bere durante il Ramadan. Tuttavia, una volta finito, volevo subito tornare nei bar dopo l’Eid, solitamente con i miei amici musulmani nord-africani.

Ascolta i precetti del Corano: avrai più fiducia e controllo su te stesso

Il cambiamento profondo e permanente avvenne quando iniziai a seguire le discussioni coraniche realizzate dal Dr. Sultan.

Quando lo incontrai, mi diede l’impressione di essere un autentico insegnante che aveva personalmente sperimentato su se stesso la forza trasformativa della vera spiritualità e che aveva vissuto seguendo i precetti che insegnava,  che venivano dalla saggezza del Corano.

Parlava in maniera molto logica, aveva i piedi per terra ed era una persona estremamente pratica, uno scienziato. Decisi di credere in lui, completamente. Quando avevo dubbi di qualunque genere su cosa fosse la cosa migliore da fare per me, credevo nei suoi giudizi perché ancora non credevo in me stessa.

I suoi consigli e i suoi insegnamenti hanno sempre portato lo studente a sviluppare fiducia in se stesso e ad essere in grado di pensare e decidere per se stesso, senza mai obbedire a nessun altro; ma credere in se stessi richiede tempo.

Feci tutti gli esercizi che Dr. Sultan mi commissionò. Passavo la maggior parte del mio tempo libero a leggere, prendere nota e fare il mio personale sommario di questi insegnamenti e delle sura del Corano delle quali discutevamo. Mi circondai di persone interessate alla crescita spirituale. Partecipai ad ogni singolo incontro che il Dr Sultan tenne a Manhattan e a Long Island.

Non ne ho mai mancato uno in più di 8 mesi, grazie a Dio. Questo non è assolutamente da me. Avevo seri problemi ad essere costante e ho combattuto per essere disciplinata nella mia vita.

Questa guida, disciplina magica e guaritrice, non è altro che la Grazia e la Misericordia di Dio. Il Corano dice a coloro che sono smarriti che

“quando trovano una guida non ci si aggrappano”

(7:146)

Io ho trovato una guida e, grazie a Dio, mi ci sono aggrappata.

Ho conosciuto molti musulmani con problemi di dipendenza, i quali avevano così tanta vergogna
che non chiedevano aiuto, perché bere nell’Islam è haram, è peccato. Ho voluto condividere questa storia proprio per questa ragione. Solo l’amore e l’accettazione possono aiutare una persona a guarire.

L’umiliazione fa l’opposto. Dio, attraverso un lavoro spirituale attivo, ci può guarire da tutto e nelle maniere più magiche. E Dio è accettazione e amore incondizionato.

Credo che non ci sia nulla di positivo, moderno o sofisticato nel bere. C’è una saggezza molto profonda dell’Islam che giudica l’alcol come haram. Ma solo se capisci che cos’è veramente l’haram. È haram perché è distruttivo e non perché alcuni sceicchi demonizzano la maniera occidentale di vivere o perché l’alcol è il demonio o perché è una proibizione arcaica dell’Islam.

Tutti coloro che hanno combattuto con una dipendenza saranno d’accordo nel giudicare il bere come haram. È la distruzione della vita, lo spreco di tutti i nostri preziosi talenti e delle nostre facoltà.

È per questo che è haram.

È veleno che ingeriamo. Alcune persone possono bere un bicchiere di vino a cena e, per loro, il vino è cibo; ma è ben diverso. Per altri, l’alcol è una consolazione
buia a falsa, che prosciuga la nostra forza vitale.

Ci sono cose infinitamente più interessanti nelle quali investire il nostro tempo e le nostre energie invece di questo.

Come per magia, non sento il desiderio di bere. Non è una lotta. Non sto controllando me stessa in nessun modo e non ho paura dell’alcol. Semplicemente non riesco a capire come ho fatto a vivere in quel modo.

Ora considero il mio tempo, le mie facoltà e la mia vita enormi, e mi sembra assurdo buttarle via bevendo come se fossero spazzatura. Affogare nell’alcol ora mi sembra un insulto a me stessa e a Dio.

Come posso spiegare tutto ciò dopo tutti questi anni? Che il demonio della dipendenza mi ha lasciato improvvisamente, un giorno, come per magia? Posso solo dire che questo è un miracolo di Dio, una forza che non è mia.

Non c’è nulla da fare con la disciplina, la forza di volontà o la lotta. Ho pregato per una guida e per la guarigione e Dio me le ha mandate. Il desiderio dell’alcol semplicemente è svanito. Completamente. Vedo la mia vita passata come se fosse appartenuta a qualcun altro, perché ciò è stato e io ne ho sono infinitamente grata.